
Originariamente inviato da
Tregenda
Oggi dopo tre settimane di penitenza mi sono stufata e sfidando gli scivoloni sul ghiaccio sono andata in libreria. Ho comprato anche Diario Clandestino di Giovannino Guareschi. Me l’avevano consigliato già tempo fa, poi la bella presentazione che ne ha fatto Dolores me l’ha fatto tornare in mente, oltre ad avermi ulteriormente invogliata a leggerlo.
Con Guareschi oltretutto ho diverse cose in comune. Era della Bassa come me, è stato prigioniero in Polonia, paese al quale per metà appartengo, e disprezzava i "trinariciuti".
Già conoscevo Guareschi, ma Diario Clandestino ancora mi mancava. Mi ha molto colpito quella citazione che ha fatto Dolores, la fierezza e la forza d’animo che esprime, e che trasuda anche da queste splendide parole, sempre dell’introduzione, che l’autore intitola Istruzioni per l’uso:
L’unica cosa interessante, ai fini della nostra storia, è che io, anche in prigionia conservai la mia testardaggine di emiliano della Bassa: e così strinsi i denti e dissi: “Non muoio neanche se mi ammazzano!”.
E non morii.
Probabilmente non morii perché non mi ammazzarono: il fatto è che non morii.
Rimasi vivo anche nella parte interna e continuai a lavorare.
[…]
Non abbiamo vissuto come bruti: costruimmo noi, con niente, la Città Democratica. E se, ancor oggi, molti dei ritornati guardano ancora sgomenti la vita di tutti i giorni tenendosene al margine, è perché l’immagine che essi si erano fatti, nel Lager, della Democrazia, risulta spaventosamente diversa da questa finta democrazia che ha per centro sempre la stessa capitale degli intrighi e che ha filibustieri vecchi e nuovi al timone delle varie navi corsare.
Sono i delusi: forse i più onesti di tutti noi volontari del Lager.
Ai delusi e a coloro che si sono consolati sono rivolte queste pagine.
[…]…sono ancora il democratico di allora, e sul nostro Lager non direi parola che non fosse approvata da quelli del Lager. Da quelli vivi e da quelli morti. Perché bisogna anche tener conto dei Morti, nella vera democrazia.
Quelli che non tacciono per opportunità, ma scelgono la strada impervia del combattere rischiando del proprio, e non permettono a nessuno di farsi “ammazzare dentro” né di farsi tappare la bocca; quelli che “Non muoio neanche se mi ammazzano!”: questi sono i miei “eroi”.
Il compianto per chi non ce l’ha fatta o è stato più debole è sacrosanto e legittimo, ma se viene strumentalizzato per accusare i sopravvissuti di non essere morti, come se questo fosse una colpa, allora diventa un tetro e morboso compiacimento per la morte. E la solidarietà si trasforma in lacrimevole commiserazione: niente di più cattivo e offensivo per le vittime di un’ingiustizia.
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