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Discussione: Lettere...dialoghi

          
  1. #31
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    Tu mi sei affine tutto, da parte a parte, terribilmente e angosciosamente affine, come io a me stessa – senza asilo, come le montagne.
    (Non è una dichiarazione d’amore: di destino)


    Marina Ivanovna Cvetaeva a Boris Pasternak


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  3. #32
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    “Claudia Severa alla sua Lepidina, saluti. Questo 11 settembre, sorella, per la celebrazione del mio compleanno, ti ho inviato un caldo invito per essere sicura che tu verrai, così da rendere la mia giornata migliore se tu sarai presente.
    Porgi i miei saluti al tuo Cerialis. Il mio Aelius (Elio) e mio figlio ti inviano i loro saluti.
    Ti aspetto sorella. Saluti, sorella, anima a me più cara, che spero prosperi e possa salutare.
    A Sulpicia Lepidina, moglie di Cerialis, da Severa.”

    ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

    Questo e' un passaggio seppur breve , di una lettera conservata al British museum/art resource NY. e rappresenta il primo testo conosciuto scritto da una donna romana in latino.
    Un invito della moglie del comandante del forte di Vindolandia,Gran Bretagna,alla sorella. Proviene dalle tavolette lignee rinvenute presso il valo di Adriano databile a cavallo tra il I ed il II secolo d.C.




    Il forte di Vindolanda , fatto erigere nel 79 d.C. al confine con l’odierna Scozia dopo la conquista romana della Bretagna.
    Spesso chi veniva inviato qui, ai confini dell’impero, poteva aver la sensazione di essere isolato ed esiliato dalla lontana, potente e lussuosa Roma.

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  5. #33
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    È strano che io di notte senta così tanto la tua mancanza visto che non ci sono mai stata con te – ma l'amore invoca puntualmente te non appena chiudo gli occhi – e mi sveglio calda del desiderio che il sonno ha quasi appagato – la settimana scorsa ho sognato che eri morto – e qualcuno aveva scolpito una statua di te e mi chiedevano di scoprirla – e io ho detto che quello che non avevo fatto in Vita non l'avrei fatto in morte quando i tuoi amati occhi non avrebbero potuto perdonarmi.


    Emily Dickinson in una lettera a Otis Philip Lord, 1873
    (da Lettere d'amore Il Saggiatore)


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  7. #34
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    Gli altri uomini sembrano formiche se paragonati a lui. Non sono attratta fisicamente da nessun altro. La mia anima e la mia mente sono inestricabilmente legate a Ted. Sento di condurre una vita indipendente - lavoro, scrivo, ho la mia arte e la mia reputazione, i miei bambini - eppure questi mi sembrano meri sproloqui se non posso credere in lui ed amarlo.
    E poi, come potrei mai essere, se tornasse? Sono troppo piena di odio, di risentimento, di desiderio di uccidere la maledetta ragazza a cui devo la mia miseria.
    E come posso smettere di essere infelice? Così non posso fare a meno di odiarmi.

    Lettera di Sylvia Plath alla sua psichiatra, la dottoressa Ruth Tiffany Barnhouse Beuscher - 4 febbraio 1963
    Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie.


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  9. #35
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    Risposta di Cesare Pavese alla lettera-contratto dell’editore Einaudi (Torino), 2 maggio 1941

    Spettabile Editore Einaudi,
    accetto le condizioni che mi fate per l’edizione del mio racconto Paesi tuoi. Gradirei che simbolicamente mi fosse versato in anticipo n. 1 pipa, onde fumarmela e preparare in serenità altri e più seducenti racconti.
    Dev.mo
    Cesare Pavese




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  10. #36
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    Pier Paolo Pasolini a Maria Callas, 1969

    Cara Maria,
    stasera, appena finito di lavorare, su quel sentiero di polvere rosa, ho sentito con le mie antenne in te la stessa angoscia che ieri tu con le tue antenne hai sentito in me. Un’angoscia leggera leggera, non più che un’ombra, eppure invincibile. Ieri in me si trattava di un po’ di nevrosi: ma oggi in te c’era una ragione precisa (precisa fino a un certo punto, naturalmente) ad opprimerti, col sole che se ne andava. Era il sentimento di non essere stata del tutto padrona di te, del tuo corpo, della tua realtà: di essere stata “adoperata” (e per di più con la fatale brutalità tecnica che il cinema implica) e quindi di aver perduto in parte la tua totale libertà. Questo stringimento al cuore lo proverai spesso, durante la nostra opera: e lo sentirò anch’io con te. È terribile essere adoperati, ma anche adoperare. Ma il cinema è fatto così: bisogna spezzare e frantumare una realtà “intera” per ricostruirla nella sua verità sintetica e assoluta, che la rende poi più “intera” ancora. Tu sei come una pietra preziosa che viene violentemente frantumata in mille schegge per poter essere ricostruita di un materiale più duraturo di quello della vita, cioè il materiale della poesia.
    È appunto terribile sentirsi spezzati, sentire che in un certo momento, in una certa ora, in un certo giorno, non si è più tutti se stessi, ma una piccola scheggia di se stessi: e questo umilia, lo so. Io oggi ho colto un attimo del tuo fulgore, e tu avresti voluto darmelo tutto. Ma non è possibile. Ogni giorno un barbaglio, e alla fine si avrà l’intera, intatta luminosità. C’è poi anche il fatto che io parlo poco, oppure mi esprimo in termini un po’ incomprensibili. Ma a questo ci vuol poco a mettere rimedio: sono un po’ in trance, ho una visione o meglio delle visioni, le “Visioni della Medea”: in queste condizioni di emergenza, devi avere un po’ di pazienza con me, e cavarmi un po’ le parole con la forza.
    Ti abbraccio

    Pier Paolo


    A Pier Paolo Pasolini.
    2 febbraio 1971
    (in italiano da un aereo)

    Caro, ti scrivo dalle nuvole. Sembra proprio un tappeto bello, soffice da poterci camminare sopra. [...] Cerca di stare bene – cerca di avere pazienza con i deboli tipo Alberto.*
    Sai, caro amico, di veri amici veri pochi ne ho trovati–per non dire nessuno. Tu penso di sì–sento di sì–ma il tempo ci mostrerà. E ci tengo alla tua verità e sincerità. Siamo assai legati psichicamente–oso dire come raro si fa in vita. È raro sai ed è bello. Però bisogna che duri. E che cosa è che dura? Finora io so che io sono–ma poi… col tempo–piano piano si vedono gli altri. Alberto non mi ha mai molto persuasa sai–perdonami. Ma mi dispiace per te perché soffri–era un tuo amico. Fa’ però come dice Dante: guarda e passa. Tu sei superiore a loro. So che sono parole e le parole sono parole e basta. Ma pensa a te e la tua salute.

    Vorrei avere tue notizie. Le mie sono che avevo preso il volo ma lo spirito comanda no a quando il corpo può. E là il mio corpo m’ha bastonata e forte. Però le tragedie non bisogna farle che sulla scena.
    La vita la si fa da noi entro le nostre possibilità. Ora so le mie.
    Hai ragione anche chi ha vinto, ha vinto per sempre. Grazie di quelle sacrosante parole. Ma non dispero ancora, sai. [...]

    Tua Maria

    * Alberto Moravia



    In questa foto tratta dal web PP Pasolini e Maria Callas sul set di "Medea"
    "Una passione platonica, lei voleva convertirlo all'eterossessualita'" racconta Dacia Maraini.
    Fu comunque un' amicizia speciale.



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  11. #37
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    .Lettera di Abraham Lincoln all’insegnante di suo figlio, 1830

    “Il mio figlioletto inizia oggi la scuola: per lui, tutto sarà strano e nuovo per un po’ e desidero che sia trattato con delicatezza.
    È un’avventura che potrebbe portarlo ad attraversare continenti, un’avventura che, probabilmente, comprenderà guerre, tragedie e dolore. Vivere questa vita richiederà Fede, Amore e Coraggio.
    Quindi, maestro caro, la prego di prenderlo per mano e di insegnargli le cose che dovrà conoscere. G
    li trasferisca l’insegnamento, ma con dolcezza, se può. Gli insegni che per ogni nemico c’è un amico. Dovrà sapere che non tutti gli uomini sono giusti, che non tutti gli uomini sono sinceri. Gli faccia però anche comprendere che per ogni farabutto c’è un eroe, che per ogni politico disonesto c’è un capo pieno di dedizione.

    Gli insegni, se può, che 10 centesimi guadagnati valgono molto di più di un dollaro trovato; a scuola, o maestro, è di gran lunga più onorevole essere bocciato che barare.
    Gli faccia imparare a perdere con eleganza e, quando vince, a godersi la vittoria. Gli insegni a esser garbato con le persone garbate e duro con le persone dure.
    Gli faccia apprendere anzitutto che i prepotenti sono i più facili da vincere.

    Lo conduca lontano, se può, dall’invidia, e gli insegni il segreto della pacifica risata. Gli insegni, se possibile, a ridere quando è triste, a comprendere che non c’è vergogna nel pianto, e che può esserci grandezza nell’insuccesso e disperazione nel successo. Gli insegni a farsi beffe dei cinici.
    Gli insegni, se possibile, quanto i libri siano meravigliosi, ma gli conceda anche il tempo di riflettere sull’eterno mistero degli uccelli nel cielo, delle api nel sole e dei fiori su una verde collina.

    Gli insegni ad aver fede nelle sue idee, anche se tutti gli dicono che sbaglia. Cerchi di infondere in mio figlio la forza di non seguire la folla quando tutti gli altri lo fanno.
    Lo guidi ad ascoltare tutti, ma anche a filtrare quello che ode con lo schermo della verità e a prendere solo il buono che ne fuoriesce.

    Gli insegni a vendere talenti e cervello al miglior offerente, ma a non mettersi mai il cartellino del prezzo sul cuore e sull’anima.
    Gli faccia avere il coraggio di essere impaziente e la pazienza di essere coraggioso. Gli insegni sempre ad avere suprema fede nel genere umano e in Dio.

    Si tratta di un compito impegnativo, maestro, ma veda che cosa può fare.
    È un bimbetto così grazioso, ed è mio figlio”.





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  12. #38
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    Questa è tra le prime lettere che Vladimir Nabokov scrisse a Vera Véra Slonim, la donna che fu sua moglie per cinquantadue anni. Vera fu la sua musa e la sua sostenitrice, i suoi occhi erano i primi a posarsi sui manoscritti di Vladimir. È grazie a lei se possiamo ancora oggi leggere Lolita, il celebre romanzo che lo scrittore aveva deciso di dare alle fiamme quando era ancora in fase di bozza

    Dal web





    .
    Luglio 1923

    Non lo nascondo: sono così disabituato all’idea della gente – ti prego, capiscimi – così disabituato, che i primi minuti del nostro incontro mi sembravano uno scherzo, un travestimento ingannevole […] Ci sono solo alcune cose di cui è difficile parlare: si scuote il loro meraviglioso polline toccandole con le parole… Sì, ho bisogno di te, del mio racconto di fate. Perché tu sei l’unica persona a cui posso parlare del grido di una nuvola, del canto di un pensiero e del fatto che quando oggi sono andato a lavorare e ho visto ogni girasole in faccia, mi hanno sorriso anche loro con i loro semi […]

    Vladimir


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  14. #39
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    Nel 1886 Rodin scriveva così


    “Mia feroce amica,
    la mia povera testa è ben malata, e non riesco più ad alzarmi la mattina. Questa sera ho camminato per ore senza trovarti nei nostri luoghi. Come mi sarebbe dolce la morte! E com’è lunga la mia agonia. Perchè non mi hai atteso all’atelier? A quale dolore ero predestinato. Ho momenti di amnesia in cui soffro di meno, ma oggi l’implacabile dolore persiste. Camille, mia bene amata nonostante tutto, nonostante la follia che sento venire e che sarà opera tua se tutto questo continua. Perchè non mi credi? Abbandono il mio Salon, la scultura; se potessi andare in un posto qualsiasi, in un paese in cui poter dimenticare ma non esiste…Ma poi in un solo istante sento la tua terribile potenza. Abbi pietà, crudele. Non ne posso più, non posso più passare un giorno senza vederti. Se no, l’atroce follia. E’ finita, non lavoro più, divinità malefica, e tuttavia ti amo furiosamente…”

    (e la lettera prosegue, una delle più lunghe e struggenti anche se di fatto Rodin abbandonò Camille).


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