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13-November-2013, 16:54
#1
Master Member
"Che la diritta via era smarrita"
Un "che" dantesco
"Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
chè la diritta via era smarrita"
☻☻☻☻
Ognuno di noi conosce a memoria l'incipit della Commedia di Dante Alighieri. E - quasi tutti, lettori e commentatori - convengono nell'interpretare il "chè" del terzo verso come un "poichè". Ossia si fa dire a Dante: mi ritrovai nella oscura selva poichè (giacchè) avevo smarrito la via diritta. È questa, l'opinione, di altissimi e preparati dantisti , lo so bene. Tuttavia, mi permetto di dissentire da questa che pare essere opinione comune ed esporre altra versione (che non è solo mia, per inciso).
E dunque dico che quella parola vada intesa come un " quando", e cercherò di portare le motivazioni di questa mia interpretazione.
I motivi che cercherò di addurre sono di tre tipi:
1^: motivo linguistico: se si intendesse il "che" come un "perchè", in tale caso la proposizione mancherebbe del necessario complemento, come fa giustamente notare il dantista L.Pietrobono: persa (smarrita) da chi?
2^ motivo teatrale:In questo modo, infatti, si fa dire a Dante: mi trovai nella selva perchè avevo perso la strada. Ma Dante non si trova nella Selva! Dante, in quel preciso momento, ne sta uscendo!
3^: motivo geografico-linguistico: In Toscana è d'uso (e non si vede perchè non lo si dicesse anche ai tempi di Dante) dire: "che" in senso temporale, sostitutivo di "quando". Ad esempio, " ai tempi che io ero giovane" vale "ai tempi in cui io ero giovane". Dante stesso, in Inf, XXXII, 124 e passim, dirà:
"Noi eravam partiti già da ello
ch'io vidi duo... "
dove, appunto, "che" sta per "quando".
Infatti, questa è appunto la singolare grazia concessa dal Cielo: che egli si ritrovasse ("ritrovasse se stesso" ) ... per una selva oscura (dove "per" non vale "in", ma "in virtù di..." ; ossìa, il peccato permette che andasse a finire nella selva oscura, da cui egli uscirà, nella notte di Venerdì 8 Aprile 1300)... QUANDO la via moralmente diritta era stata persa, da lui e da tutti.
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13-November-2013, 17:31
#2
Administrator
Provo ad addentrarmi su un terreno che, per me, è l'equivalente della "selva oscura"
Sul terzo motivo da te addotto non ho obiezioni dato che spesso ho sentito espressioni del genere.
Del secondo mi sfugge la collocazione temporale, mi pare che Dante narri al presente un evento passato quindi lo si può (potrebbe) collocare dove meglio si crede.
Alla domanda posta dal primo mi verrebbe da rispondere semplicemente con un "Da lui stesso" ... se Danta narra in prima persona la "diritta via" non può esser stata persa che da lui che, essendo all'inizio della narrazione, è l'unico ed inconfondibile soggetto della storia.
Scusa la linearità dei pareri ma l'esegesi non è il mio forte.
Non è vero che ti fermi quando invecchi, ma invecchi quando ti fermi.
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13-November-2013, 17:34
#3
Master Member
Questa è un'interpretazione, che cerco di fare in tutta umiltà.
Dante, come tutti i Grandi, ha veramente da insegnarci molto. Accontentiamoci di leggerlo, di ascoltarlo, di meditarlo.
1: No, assolutamente! Dante lo pone in un punto ben preciso (quando, nella vita di ciascuno, l'uomo si ritrae a considerare il proprio passato) ed in un luogo ben preciso (Il vVenerdì di Pasqua, morte del Redentore, sua discesa agli Inferi e Risurrezione al Cielo; per traslazione, morte di ognuno, riconsiderazione dei peccati dell'Umanità ed ascesa al premio finale, il Cielo). Come non leggere così questi passi? Non si capiscono?
2: Dante esprime un proprio cammino interiore di catarsi. Infatti, uscito dalla Selva, non può salire sul "dilettoso monte che mena l'altrui per ogni calle". Va va capito, in questo momento, che il percorso di Dante è e sarà il percorso di tutti. Il peccato ha preso tutti, e Dante si preoccupa di inserirsi in questo contesto storico.
Ciao e a rileggerci (se vorrai)
Sir
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