IL PRATO

In mezzo al prato, questo pomeriggio, raccolgo
un sacco di ricordi stravaganti. Quell’impresario
di pompe funebri che ha chiesto a mia madre se
voleva comprare l'intero completo con cui seppellire mio padre
oppure solo la giacca? Non è che devo per forza
fornire una risposta a questa o a qualsiasi altra
domanda. Però, oh, lui è entrato
nel forno crematorio con i pantaloni addosso.
Questa mattina stavo guardando una sua foto.
Era un tipo robusto, pesante, nell'ultimo anno
di vita. Teneva in mano un salmone gigantesco
davanti alla catapecchia in cui abitava
a Fortuna, in California. Mio padre.
E adesso è nulla. Ridotto a una tazza di ceneri
e qualche ossicino. Senza dubbio
non è proprio questo il modo
in cui deve finire la vita di un uomo.
Anche se, come ha giustamente osservato Hemingway,
tutte le storie, se si continua a raccontarle,
finiscono con la morte. E’ proprio vero.
O Signore, siamo quasi in autunno.
Passa uno stormo di oche canadesi,
alto. La cavallina alza
la testa, è scossa da un fremito, si rimette
a brucare. Mi sa che mi sdraierò
su questa erba dolce. Chiuderò gli occhi
e resterò ad ascoltare il vento e il battito delle ali.
Così, tanto per sognare un'ora, felice di stare qui
e non altrove. Certo. Ma c'è anche
la tremenda consapevolezza
che uomini a cui ho voluto bene
se ne sono andati in un altro posto, meno bello.

Raymond Carver