Regia di Paolo Genovese.
Un film con Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Alessandro Borghi, Silvio Muccino, Alba Rohrwacher.
Soggetto, serie televisiva statunitense The Booth at the End.
Genere Drammatico/fantasy
Italia, 2017, 105 minuti.
Trama
Un uomo misterioso siede al tavolo di un ristorante, dal quale accoglie un gruppo di persone in cerca di fortuna. Ad ogni desiderio espresso l'uomo chiede in cambio di fare una cosa. Non ci sono obblighi, è possibile tirarsi indietro ma è davvero così facile tirarsi fuori quando ciò che desideriamo non è più solo una speranza?
Riduzione filmica di una serie televisiva statunitense The Booth at the End.
Il soggetto della storia è fantasy e questo dà a tutta la vicenda un valore universale. Non è americano, non è europeo, non è asiatico. Siamo noi, uomini, con il nostro lato più oscuro e più luminoso...
La location, anche questa può essere vista come un non luogo, a me ha ricordato molto i quadri di Hopper. In questo locale, il The place, si alternano nelle varie ore del giorno, tra clienti ignari, gli otto uomini che rincorrono il loro desiderio. Un desiderio che l'uomo si incarica di analizzare e svelarne i dettagli, le sfumature più intime, le motivazioni più sincere.
Fino a qui sembra che Genovesi giochi al cinema dei grandi numeri e grande pubblico, perché l'italianità, per adesso, non c'è. (Non che sia un difetto, intendiamoci, ma se Genovesi si limita a fare la versione film di un telefilm americano, allora dove sta la sua firma?).
A rendere questo film un prodotto italiano è la scelta del cast, la loro cifra recitativa. Ognuno di questi personaggi, pur nell'universalità delle loro storie, sono, a mio avviso, italiani fino al midollo.
Questa è la cosa che più mi è piaciuta del film, la fusione, il mix tra universale, cinema extra europeo e italianità.
L'unico rimpianto è che il soggetto non ci appartiene, l'abbiamo preso in prestito e sinceramente non so quanto sia simile all'originale. Probabilmente Genovesi ha scelto le storie più belle e le ha intrecciate tra loro, lavoro certosino di assemblaggio ma ... pur sempre assemblaggio.
L'unico personaggio che un po' stride, secondo me, è la Ferilli. Troppo.
Troppo bella, formosa, sexy, sembra fuori posto con la "normalità" del tutto. Insomma, si nota... troppo. Anche la Puccini è bellissima, ma la sua fisicità, ruolo e recitazione si innestano meglio con il tono generale del film.
La cosa buffa è che i personaggi che ... ma questo è uno spoiler e perciò mi taccio!
Riflessione
Ci sono tanti modi di affacciarsi al cinema all'americana, c'è il modo di Sorrentino che ricalca l'effetto Fellini, (vedi La giovinezza); c'è Muccino, su cui non mi pronuncio perché i film americani non li ho visti, e c'è Garrone, secondo me, il migliore in assoluto! Il suo Racconto dei racconti riesce a fondere arte e originalità attraverso un soggetto italiano, usando un linguaggio estetico di indubitabile grandezza, senza tempo e senza nessun pedaggio se non all'arte stessa.
P.S. A me, questo film, è piaciuto più di Perfetti sconosciuti in cui i personaggi sono troppo stereotipati. Questi, pur essendo "esemplari", sono più umani.
Consigliato? Sì!
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