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Il Racconto dei Racconti - Matteo Garrone - 2015
Il racconto dei racconti - Tale of Tales
Un film di Matteo Garrone.
Con Salma Hayek, John C. Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, Alba Rohrwacher.
Sceneggiatura: Edoardo Albinati, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso
Fotografia: Peter Suschitzky
Montaggio: Marco Spoletini
Musiche: Alexandre Desplat
Fantasy, 125 min.
Italia, Francia, Gran Bretagna 2015
Trama
In un mondo fantastico, si svolgono tre storie parallele: quella di una regina infelice per la mancanza di un figlio e disposta a ricorrere a qualsiasi sortilegio pur di averlo; un re molto tenero e devoto nei confronti dell'unica figlia femmina, fino a quando non si mette in testa di allevare e addomesticare una pulce; un re crapulone obnubilato dai suoi appetiti sessuali che si invaghisce di una donna solo udendone il canto, ignorando che si tratti in realtà di un'anziana lavandaia.
Le storie sono ispirate ai racconti popolari riportati ne "Lo cunto de li cunti", opera del napoletano Giambattista Basile.
Opinioni
Chi è appassionato di fiabe, favole e racconti della tradizione popolare in genere, qualunque sia la loro matrice culturale, sa che spesso queste storie sono molto cupe e violente, non così adatte a un pubblico infantile.
Penso al sottile sadismo della Fata Turchina del Pinocchio di Collodi, oppure al tremendo destino della Sirenetta di Andersen, molto diverso da quello della sua sorella disneyana.
Chi deciderà di andare a vedere questo film, sappia che non è roba per bambini o comunque per giovani virgulti impressionabili.
Sono storie che non prevedono scontri manichei tra buoni e cattivi, né combattimenti grandiosi, né creature fantastiche come elfi, fate o mostri di qualsiasi tipo.
È l'essere umano con le sue bassezze, le sue pulsioni, i suoi istinti più brutali a far la parte del mostro.
È una sorta di mostro la regina triste, interpretata da Salma Hayek, che è pronta a tutto pur di soddisfare il suo desiderio di maternità: dal sacrificare la vita del re consorte al cibarsi del cuore di un drago marino.
Peccato che suo figlio Elias, voluto così fortemente, si senta meno legato a lei che al figlio della serva, nato il suo stesso giorno, e che gli somiglia come una goccia d'acqua.
Come a dire che tutto si può ottenere con la magia, ma c'è sempre un prezzo da pagare e ad ogni modo ci sono dei legami istintivi che nemmeno essa può spezzare.
Questo principio si ritrova nella storia del re ossessionato dalle sue voglie e delle due anziane sorelle che si ritrovano a tendergli un inganno.
Se il re è preda della sua avidità sessuale, l'anziana lavandaia è preda inizialmente della sua avidità di denaro, poi di una vanità che la porterà a peccare di egoismo nei confronti della sorella.
Anche in questa storia si ritrova l'elemento esoterico; la strega che incontra la donna nel bosco, in lacrime e umiliata, la consola dicendo: "Tutto passa".
È una frase emblematica, che potrebbe essere interpretata in un duplice senso: passa il dolore, la sofferenza, ma passa anche l'incanto, il momento in cui tutto è possibile grazie all'intervento di forze sovrannaturali.
E, soprattutto, qualsiasi azione provoca delle conseguenze.
È un po' come diceva un vecchio adagio popolare, che una cattiva azione si ripercuote tre volte tanto sulla persona che la compie.
Diversa è invece la dinamica della storia del re e della pulce, e della sua giovane figlia.
Ed è, per quanto cruda e amara, l'unica storia che ho apprezzato grazie alla bravura dell'attrice, la giovane Bebe Cave, che interpreta la principessa Viola.
Si può dire che la principessa, così come Elias, siano gli unici personaggi positivi del film.
Viola è vittima della negligenza di un padre, che, così assorto nella sua morbosa dedizione verso una pulce, finisce per affidare il destino della figlia a un'assurda competizione.
La ragazza si ritroverà catapultata dalle mura del castello paterno, dove sognava leggendo degli amori di Lancillotto e Ginevra, alla caverna di un orco al quale è stata data in sposa.
Sia Viola che Elias lottano, si ribellano con tutte le loro forze al destino che i rispettivi genitori vorrebbero per loro, accecati dal loro egoismo e dai loro desideri malati.
Si intuisce che l'architettura che regge il film è piuttosto maestosa: costumi meravigliosi, giochi di luci e ombre che ricordano un po' la pittura barocca del Seicento, un po' le atmosfere di certi artisti fiamminghi, ambientazioni meravigliose (Castel del Monte in Puglia, le gole dell'Alcantara in Sicilia, la Gravina di Puglia, per citarne alcune), attori, in linea di massima, molto validi.
Ciò che però avrebbe dovuto valorizzare il film costituisce, a mio parere, proprio il suo più grande difetto.
La fotografia indulge spesso su immagini da cartolina, prive di anima.
Salma Hayek, per quanto espressiva e discretamente compresa nel suo ruolo, risulta impacciatissima, intabarrata in abiti elaborati che penalizzano la sua figura minuta.
Vincent Cassel, un attore di tutto rispetto, è confinato alla solita macchietta del porco lascivo (e scusate il linguaggio colorito).
La carica suggestiva e l'alone di mistero che trasuda dalle pareti di Castel del Monte non traspare minimamente.
La colonna sonora, insopportabile e noiosa.
Il ritmo in sé, estenuante.
L'immagine del sangue, che ricorre per tutto il film, riflessa talvolta anche nel rosso di un abito o di un panneggio, a un certo punto sembra gratuita e disgustosa.
La galleria di vizi umani alla quale si assiste è realistica, ma rappresentata con sguardo fin troppo compiaciuto.
Non sono una patita del lieto fine o del buonismo sdolcinato, ma forse mi aspettavo una catarsi finale che non è avvenuta, non abbastanza per me, perlomeno.
In ultima analisi è un film che mi ha colpito, ma che non rivedrei.
La vita morde forte alle spalle e quando sorride ti fa solo del male (Mauro Berchi)
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