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L'aurora che attendo
Sogno fontane di acque
fiumi e cascate di acque
e praterie sconfinate ove
la luce danzi col suo
abito da sposa
e un angelo che suoni il flauto
nel silenzio di una dolcissima
aurora...
ma non è che un pallido sogno:
altra
è l'Aurora che attendo:
pure in timore e tremore...
David Maria Turoldo
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Curva minore
Perdimi, Signore, che non oda
gli anni sommersi taciti spogliarmi,
si che cangi la pene in moto aperto:
curva minore
del vivere m'avanza.
E fammi vento che naviga felice,
o seme d'orzo o lebbra
che sé esprima in pieno divenire.
E sta facile amarti
in erba che accima alla luce,
in piaga che buca la carne.
Io tento una vita:
ognuno si scalza e vacilla
in ricerca.
Ancora mi lasci: son solo
nell'ombra che in sera si spande,
né valico s'apre al dolce sfociare del sangue.
Salvatore Quasimodo
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1 allegato(i)
Diluente
La vicina del numero quattordici rideva oggi sulla porta
da dove un mese fa è uscito il funerale del figlio piccolo.
Rideva in modo naturale con l’anima nel volto.
D’accordo: è la vita.
Il dolore non dura perchè il dolore non dura.
D’accordo.
Ripeto: d’accordo.
Ma il mio cuore non è d’accordo.
Il mio cuore romantico fa delle sciarade con l’egoismo della vita.
Ecco la lezione, o anima di gente!
Se la madre dimentica il figlio che uscì da lei ed è morto,
chi si prenderà la briga di ricordarsi di me?
Sono solo al mondo, come un mattone rotto...
Posso morire come la rugiada si asciuga...
Per un’arte naturale della natura solare...
Posso morire per volontà dell’oblio,
posso morire come nessuno...
Ma questo duole,
questo è indecente per chi ha un cuore...
Questo...
Sì, questo mi rimane nella strozza come un sandwich alle lacrime...
Gloria? Amore? L’anelito di un’anima umana?
Apoteosi alla rovescia...
Datemi acqua minerale, che voglio dimenticare la Vita!...
Fernando Pessoa
Allegato 2773
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Mi nasconda la notte e il dolce vento.
Da casa mia cacciato e a te venuto
mio romantico fiume lento.
Guardo il cielo e le nuvole e le luci
degli uomini laggiù così lontani
sempre da me. Ed io non so chi voglio
amare ormai se non il mio dolore.
La luna si nasconde e poi riappare
- lenta vicenda inutilmente mossa
sovra il mio capo stanco di guardare.
Sandro Penna
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Er mortorio
(Aldo Fabrizi Roma 1/11/1905 – Roma 2/4/1990)
Appresso ar mio nun vojo visi affritti,
e pe’ fa’ ride pure a ‘st’occasione
farò un mortorio con consumazione...
in modo che chi venga n’approfitti.
Pe’ incenso, vojo odore de soffritti,
‘gni cannela dev’esse un cannellone,
li nastri – sfoje all’ovo e le corone
fatte de fiori de cocuzza fritti.
Li cuscini timballi de lasagne,
da offrì ar momento de la sepportura
a tutti quelli che “sapranno” piagne.
E su la tomba mia, tutta la gente
ce leggerà ‘sta sola dicitura:
“Tolto da questo mondo troppo al dente”.
Traduzione:
Il funerale
Dietro al mio non voglio visi afflitti
e per far ridere pure in quest'occasione
farò un funerale con consumazione...
in modo che chi venga ne approfitti.
Per incenso, voglio odore di soffritti,
ogni candela dev’essere un cannellone,
i nastri – sfoglie all’uovo e le corone
fatte di fiori di zucca fritti.
I cuscini timballi di lasagne,
da offrire al momento della sepoltura
a tutti quelli che “sapranno” piangere.
E sulla tomba mia, tutta la gente
ci leggerà questa sola dicitura:
“Tolto da questo mondo troppo al dente”.
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Se inserisco qui il mio nome
la mia faccia è quella di mia madre ma
capita a volte che guardandomi allo specchio
veda con chiarezza i tratti degli altri i fratelli e le sorelle
come se tutti pur già morti affiorassero sul mio viso come
dalle acque di un lago profondo e il mio segreto stesse lì
dentro quel riemergere lento a caso dal fango senza corpo
eppure ora l’uno ora l’altro dicendomi
segnando tutti i passaggi del tempo
il carattere i traumi e le gioie inscritte sotto e dentro la pelle
senza sentirmi mai trafitta dai ganci neri di un dolore legato alla perdita
sono là li vedo con chiarezza
mi attraversano in un disegno li vivo
Fernanda Ferraresso
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Non c'è bisogno
Vedo un posto vuoto a tavola.
Di chi è? Di chi altro? Chi voglio prendere in giro?
La barca attende. Non c’è bisogno di remi
né di vento. La chiave l’ho lasciata
nel solito posto. Tu sai dove.
Ricordati di me e di tutto quello che abbiamo fatto insieme.
Ora stringimi forte. Così. Dammi un bel bacio
sulle labbra. Ecco. Ora
lasciami andare, carissima. Lasciami andare.
Non c’incontreremo più in questa vita,
perciò ora dammi un bacio d’addio. Su, ancora uno.
E un altro. Ecco. Adesso basta.
Adesso, carissima, lasciami andare.
È ora di avviarsi.
Raymond Carver
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UNA MORTALE PESANTEZZA SUL CUORE
A volte sulla sponda della via
preso da un infinito scoramento
mi seggo; e dove vado mi domando,
perché cammino. E penso la mia morte
e mi vedo già steso nella bara
troppo stretta fantoccio inanimato...
Quant’albe nasceranno ancora al mondo
dopo di noi!
Di ciò che abbiam sofferto
di tutto ciò che in vita ebbimo a cuore
non rimarrà il più piccolo ricordo.
Le generazioni passan come
onde di fiume...
Una mortale pesantezza il cuore
m’opprime.
Inerte vorrei esser fatto
come qualche antichissima rovina
e guardare succedersi le ore,
e gli uomini mutare i passi, i cieli
all’alba colorirsi, scolorirsi
a sera...
Camillo Sbarbaro
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TRITTICO DELL’INNOCENZA di Francesca Genti
LAIKA (1954-1957)
È morta Laika.
Piccola bastarda.
Giovane e carina.
Nome vero: Kudrjavka
(in russo vuole dire “ricciolina”).
Naso umido e innocente.
È morta sola.
In assenza di gravità.
Sola come un cane in assenza di pietà.
È morta come solo un cane solo su una capsula spaziale
sovietica sparata dalla terra in orbita verso l’infinito.
Ha sentito caldo e freddo.
Poi ha guaito.
Poi niente: il vuoto siderale.
Il requiem delle stelle.
La notizia sul giornale.
***
DOLLY (5 luglio 1996 – 14 febbraio 2003)
È morta Dolly,
la pecora clonata:
ma come ha fatto,
se non era mai nata?
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CITA (1931-2011)
È morta Cita,
ha avuto una gran vita:
soldi, salute, camicia hawaiana,
fama, successo e più di una banana.
Ha mantenuto la promessa americana.
Abitava, ottantenne, in un ospizio trés huppé:
una “Villa Arzilla”, ma per scimpanzè,
dove dipingeva e suonava il pianoforte
aspettando con contegno che arrivasse la morte.
E mentre passeggiava sul viale del tramonto
arrivò per lei il momento di saldare il proprio conto.
Le si accostò una lunga limousine:
“è ora, mia cara, di raggiungere Rin Tin Tin”
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Struggente, questo "Trittico".
Ho pensato alla storia di Laika giusto ieri, quando in Rete e sui giornali si parlava dell'astronauta italiana appena rientrata.
Pensavo a quanto sia stato crudele e ingiusto che un esserino innocente abbia pagato con la vita il prezzo del "progresso".
Non verranno mai spese parole a sufficienza per gli innocenti, umani o animali che siano, sacrificati dall'avidità umana.
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Quote:
Originariamente inviato da
Indigowitch
Struggente, questo "Trittico".
Ho pensato alla storia di Laika giusto ieri, quando in Rete e sui giornali si parlava dell'astronauta italiana appena rientrata.
Pensavo a quanto sia stato crudele e ingiusto che un esserino innocente abbia pagato con la vita il prezzo del "progresso".
Non verranno mai spese parole a sufficienza per gli innocenti, umani o animali che siano, sacrificati dall'avidità umana.
D'accordo in tutto e per tutto!
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CONGEDO DEL VIAGGIATORE CERIMONIOSO
Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.
Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi
per l’ottima compagnia.
Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.
Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio)’ confidare.
(Scusate. E una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare.
Ecco. Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare.)
Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo – odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.
Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te, ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto se io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.
Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.
Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, sono certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.
Scendo. Buon proseguimento
Giorgio Caproni
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Io a te dico
voglio abbia i miei occhi
la morte quando arriva,
voglio specchiarmi appena civettuola
dentro la vita fatta e da finire.
Per una volta essere
la mia garbata ospite,
porgermi la mano in piedi
poi farmi accomodare,
piano accostare le persiane
e senza rimpianti uscire.
Mariella De Santis
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Tu hai voluto riposare
in terra morta e in oblio
Credevi di poter vivere solo
nel mare, o nei boschi.
Poi hai saputo che la vita
è solitudine tra gli uomini
e solitudine tra le valli.
Che i giorni circolanti
nel tuo petto erano solo insegne
di dolore fra il tuo pianto. Povero
amico. Non sapevi nulla né piangevi nulla
Mai me ne rido
della morte.
Semplicemente
capita che
non ho
paura di
morire
tra
uccelli ed alberi.
Non me ne rido della morte.
Ma a volte ho sete
e chiedo un po’ di vita,
a volte ho sete e domando
quotidianamente, e come sempre
capita che non trovo risposte
ma una risata profonda
e nera. Già l’ho detto, mai
soglio ridere della morte,
ma sì conosco il suo bianco
volto, il suo tetro vestito.
Non me ne rido della morte.
Tuttavia, conosco la sua
bianca casa, conosco
la sua bianca veste, conosco
la sua umidità e il suo silenzio.
E’ chiaro, la morte non
mi ha ancora fatto visita,
e vi chiederete: che ne
sai? Non ne so nulla.
Anche questo è vero.
Nondimeno, so che all’arrivo
io la starò aspettando,
la starò aspettando in piedi
o forse facendo colazione.
La guarderò soavemente
(che non si spaventi)
e siccome mai ho riso
della sua tunica, l’accompagnerò
solitario e solitario.
Javier Heraud
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Non voglio una cassa qualunque, voglio un sarcofago
con striature di tigre e una faccia dipinta
tonda come la luna, con gli occhi sgranati in su.
Voglio sembrare che li guardo quando verranno
a scavarmi fra ottusi minerali e radici.
Già li vedo – pallide facce, a una distanza astrale.
Adesso non sono nulla, non sono nemmeno in fasce.
Li penso senza né padri né madri, come gli dei primigeni.
Si domanderanno se io sia stata importante.
Dovrei come frutta candire e conservare i miei giorni!
Il mio specchio si appanna –
ancora qualche fiato e non specchierà più niente del tutto.
I fiori e le facce si sbiancano come un lenzuolo.
Dello spirituale non mi fido. Sguscia via come vapore
nei sogni, per le fessure della bocca o degli occhi. Non posso
fermarlo, né mai tornerà. Ma non così le cose.
Loro restano, con quel piccolo brillìo particolare,
da tante mani scaldato, con un brusìo di piacere.
Se avrò freddo alle piante dei piedi,
mi consolerà l’occhio azzurro del mio turchese.
Siano con me le mie casseruole di rame, i miei vasi di coccio
mi fioriscano intorno notturni fiori, dal buon profumo.
Mi avvolgeranno nelle bende, deporranno il mio cuore
sotto i miei piedi in un bel pacchettino.
Non mi riconoscerò quasi. Sarà tutto buio,
ma ci sarà il fulgore di questi piccoli oggetti più dolce che il
viso di Ishtar.
Sylvia Plath
http://www.truth-tradition.com/wp/wp.../03/Ishtar.png