Indigowitch
29-June-2012, 13:00
1059Raymond Carver è nato nel 1938 nell'Oregon, da una famiglia di onesti lavoratori
come tante.
La sua vita, non particolarmente lunga (morì a 50 anni a causa di un tumore), fu segnata dalle ristrettezze
economiche e dalla dipendenza dall'alcool, che gli creò seri problemi di salute.
Dalle poche note biografiche che ho reperito sul suo sito ufficiale, si intravede una persona crepuscolare, di poche parole,
di certo il contrario dell'artista dall'ego smisurato, pirotecnico, debordante.
La sua produzione letteraria consiste principalmente di racconti e poesie.
Una delle sue raccolte di racconti più nota è "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore", del 1981.
Pubblicata con l'aiuto dell'amico e editore Gordon Lish, l'opera lo consacrò come scrittore "minimalista",
per via dello stile asciutto e imparziale, che poco o nulla concedeva agli eccessi emotivi.
Anche le storie narrate sono piane, ordinarie, storie di gente comune alle prese con le proprie miserie quotidiane
e i loro drammi personali.
I personaggi di Carver sono tipicamente americani, con le loro villette candide e i giardinetti ben curati, il barbecue
del fine settimana e quell'aria apparentemente placida e gaia che nasconde ben altro.
I dialoghi sono ridotti, stringati, compressi. Non c'è nessuna intrusione da parte del narratore, nessuna introspezione psicologica,
solo l'ambiente (quasi sempre domestico, o comunque limitato) e i personaggi, con le loro battute scarne e le loro vite desolate,
incredibilmente tristi anche quando non c'è nessun evento tragico a turbarle.
Di recente, William L. Stull e Maureen P. Carroll, dell'università di Hartford,
basandosi sullo scambio di lettere tra Carver e il suo editor, nonché sui manoscritti originali di
"Di cosa parliamo...", hanno deciso di ridare alle stampe l'opera per come era stata concepita originariamente dal suo autore.
Gordon Lish, infatti, aveva apportato delle correzioni notevoli e dei pesanti tagli ai racconti, pensando di migliorarne la qualità e di
renderli più aderenti a quel minimalismo che ormai si era appiccicato come un'etichetta a Carver.
Dallo scambio di lettere tra i due, si percepisce tutto lo sconforto e la disperazione di Carver, che si sentì mutilato nelle sue intenzioni e
digerì malissimo le scelte di Lish, ma fu costretto a rispettarle in virtù della stima e dell'amicizia che lo legavano a lui.
Carver, infatti, doveva molto a Lish che aveva creduto in lui e l'aveva aiutato a pubblicare le sue opere.
Incoraggiati dalla seconda moglie di Carver, Tess Gallagher, Stull e Carroll hanno ricostruito la versione originaria dell'opera, dandole il titolo del racconto che chiude l'opera, e cioè "Beginners", che poi era quello pensato in un primo momento da Carver stesso.
Il titolo che le aveva dato Gordon Lish, infatti, altro non era che una frase citata dal medesimo racconto.
In italiano è uscita col titolo di "Principianti", edita da Einaudi.
Leggere questi racconti è stato una vera sorpresa, per me. C'è da dire che non avevo idea dello stile di Carver, né avevo letto la versione dei racconti del 1981. Non avevo idea, dunque, di cosa ci si 'deve' aspettare quando si legge una sua opera.
Ciò che stordisce è l'abilità dello scrittore di lasciarti addosso un disagio profondo, alla fine di ogni racconto, che non sapresti spiegare in
nessun modo.
Sono storie ordinarie,spesso di coppie scoppiate, di individui falliti, o sarebbe meglio dire implosi, ripiegati su loro stessi.
Anche quando la tensione arriva alle stelle, nulla esplode, si apre solo l'abisso di un silenzio sepolcrale.
Una frase lapidaria tronca le aspettative del lettore, lasciandogli l'amaro in bocca.
Nessuna confidenza, nessuna indulgenza.
Eppure trapela una fortissima umanità, da queste storie, nel bene e nel male.
E' il sogno americano scarnificato, decostruito, imbottito di alcool e psicofarmaci.
In "Una cosa piccola ma buona", la tragedia familiare sfuma nella rassegnazione, la crudeltà del quotidiano, che non
concede pause neppure alla morte, sfuma nel gesto gentile di un estraneo.
"Dì alle donne che usciamo" sembra un agghiacciante episodio di cronaca nera, laddove l'eccesso di normalità sfocia nella follia pura.
Infine "Principianti" è sicuramente il racconto più bello, e proprio per questo è inutile commentarlo se non riportando questa citazione:
"Ma, secondo me, siamo tutti nient'altro che principianti, in fatto d'amore".
come tante.
La sua vita, non particolarmente lunga (morì a 50 anni a causa di un tumore), fu segnata dalle ristrettezze
economiche e dalla dipendenza dall'alcool, che gli creò seri problemi di salute.
Dalle poche note biografiche che ho reperito sul suo sito ufficiale, si intravede una persona crepuscolare, di poche parole,
di certo il contrario dell'artista dall'ego smisurato, pirotecnico, debordante.
La sua produzione letteraria consiste principalmente di racconti e poesie.
Una delle sue raccolte di racconti più nota è "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore", del 1981.
Pubblicata con l'aiuto dell'amico e editore Gordon Lish, l'opera lo consacrò come scrittore "minimalista",
per via dello stile asciutto e imparziale, che poco o nulla concedeva agli eccessi emotivi.
Anche le storie narrate sono piane, ordinarie, storie di gente comune alle prese con le proprie miserie quotidiane
e i loro drammi personali.
I personaggi di Carver sono tipicamente americani, con le loro villette candide e i giardinetti ben curati, il barbecue
del fine settimana e quell'aria apparentemente placida e gaia che nasconde ben altro.
I dialoghi sono ridotti, stringati, compressi. Non c'è nessuna intrusione da parte del narratore, nessuna introspezione psicologica,
solo l'ambiente (quasi sempre domestico, o comunque limitato) e i personaggi, con le loro battute scarne e le loro vite desolate,
incredibilmente tristi anche quando non c'è nessun evento tragico a turbarle.
Di recente, William L. Stull e Maureen P. Carroll, dell'università di Hartford,
basandosi sullo scambio di lettere tra Carver e il suo editor, nonché sui manoscritti originali di
"Di cosa parliamo...", hanno deciso di ridare alle stampe l'opera per come era stata concepita originariamente dal suo autore.
Gordon Lish, infatti, aveva apportato delle correzioni notevoli e dei pesanti tagli ai racconti, pensando di migliorarne la qualità e di
renderli più aderenti a quel minimalismo che ormai si era appiccicato come un'etichetta a Carver.
Dallo scambio di lettere tra i due, si percepisce tutto lo sconforto e la disperazione di Carver, che si sentì mutilato nelle sue intenzioni e
digerì malissimo le scelte di Lish, ma fu costretto a rispettarle in virtù della stima e dell'amicizia che lo legavano a lui.
Carver, infatti, doveva molto a Lish che aveva creduto in lui e l'aveva aiutato a pubblicare le sue opere.
Incoraggiati dalla seconda moglie di Carver, Tess Gallagher, Stull e Carroll hanno ricostruito la versione originaria dell'opera, dandole il titolo del racconto che chiude l'opera, e cioè "Beginners", che poi era quello pensato in un primo momento da Carver stesso.
Il titolo che le aveva dato Gordon Lish, infatti, altro non era che una frase citata dal medesimo racconto.
In italiano è uscita col titolo di "Principianti", edita da Einaudi.
Leggere questi racconti è stato una vera sorpresa, per me. C'è da dire che non avevo idea dello stile di Carver, né avevo letto la versione dei racconti del 1981. Non avevo idea, dunque, di cosa ci si 'deve' aspettare quando si legge una sua opera.
Ciò che stordisce è l'abilità dello scrittore di lasciarti addosso un disagio profondo, alla fine di ogni racconto, che non sapresti spiegare in
nessun modo.
Sono storie ordinarie,spesso di coppie scoppiate, di individui falliti, o sarebbe meglio dire implosi, ripiegati su loro stessi.
Anche quando la tensione arriva alle stelle, nulla esplode, si apre solo l'abisso di un silenzio sepolcrale.
Una frase lapidaria tronca le aspettative del lettore, lasciandogli l'amaro in bocca.
Nessuna confidenza, nessuna indulgenza.
Eppure trapela una fortissima umanità, da queste storie, nel bene e nel male.
E' il sogno americano scarnificato, decostruito, imbottito di alcool e psicofarmaci.
In "Una cosa piccola ma buona", la tragedia familiare sfuma nella rassegnazione, la crudeltà del quotidiano, che non
concede pause neppure alla morte, sfuma nel gesto gentile di un estraneo.
"Dì alle donne che usciamo" sembra un agghiacciante episodio di cronaca nera, laddove l'eccesso di normalità sfocia nella follia pura.
Infine "Principianti" è sicuramente il racconto più bello, e proprio per questo è inutile commentarlo se non riportando questa citazione:
"Ma, secondo me, siamo tutti nient'altro che principianti, in fatto d'amore".