Visualizza la versione completa : Charles Bukowski
Tregenda
14-November-2011, 18:23
Inizialmente pensavo di scrivere una presentazione per questo spazio, ma poi ho capito che è decisamente meglio lasciare la parola direttamente al padrone di casa...
“Il concetto di moralità, riportato al 1961, indica un modo di pensare e di agire che sia accettabile sulla base di certe realistiche e umanissime reazioni a ciò che è avvenuto in passato e che probabilmente avverrà in futuro. Ma in realtà, anche se i Robert Vaughan sono pieni di buone intenzioni e non posso che rispettarli, creano ostacoli sulla via dell’espressione schietta e diretta.
Datemi persone dall’apparenza cattiva, perché sono araldi del bene futuro: molto di quello che era male alle cinque e mezza di ieri è tutt’altra cosa oggi.
A volte penso alle grandi sinfonie che oggi abbiamo accettato, dopo che alla prima esecuzione il pubblico le aveva fischiate e aveva lasciato la sala.
<<Scrivere poesie è difficile: bisogna sudare, per tirar fuori la giusta immagine, l’espressione precisa, un certo giro di pensiero…>>
Scrivere poesie non è difficile;è difficile viverle. Siamo realistici: ogni volta che diciamo ‘buongiorno’ a qualcuno senza intendere davvero augurargli una buona giornata, siamo un po’ meno vivi. E quando scrivi una poesia all’interno dei canoni comunemente accettati della forma-poesia, facendo sì che suoni come una poesia, perché una poesia è una poesia, in quella poesia stai dicendo ‘buongiorno’, e moralmente è qualcosa di molto corretto, non hai certo detto MERDA, ma non sarebbe splendido se… invece di sudare per far uscir fuori la giusta immagine, l’espressione precisa, un certo giro di pensiero… potessi semplicemente sederti e scrivere semplicemente le cose come stanno, cazzo, rivestendole di suono e colore, scuotendoci e risvegliandoci con la forza, gli uccellacci neri, i campi di granturco, l’orecchio nella mano della puttana, il sole, il sole, il sole, IL SOLE!; facciamo poesia come facciamo l’amore; facciamo poesia e lasciamo le leggi, le regole e la morale alle chiese e ai politici; facciamo poesia con lo stesso spirito con cui pieghiamo la testa indietro per scolarci del buon liquore; lasciate che un barbone ubriaco faccia brillare la sua fiamma, e un giorno, Robert, ripenserò a te, elegante e difficile, che misuri vocali e avverbi, e crei regole invece che poesia.”
Lettera a John William Corrington, Urla dal balcone (lettere 1959-1969)
Milodragovitch
20-November-2011, 18:10
che dire del grandissimo Bukowski....forse nell'altro forum ne ho già parlato abbondantemente quindi, per evitare di risultare noioso, mi limito a dire che reputo il vecchio Hank il mio scrittore preferito, capace di farti passare dalla risata di gusto a quella amara, dallo schifo condiviso per buona parte dell'umanità alla tenerezza assoluta per l'uomo e le sue debolezze
Tregenda
21-November-2011, 13:18
Sì, anch'io ho già scritto talmente tanto di lui che è difficile scriverne ancora senza la sensazione di ripetersi... Ma poi penso che non si potrà mai parlare abbastanza di Lui, quindi... Eccoci qua!
Tregenda
22-November-2011, 19:54
Questo brano è soprattutto per chi non ha mai letto Bukowski, o ha letto solo qualcosa di suo e/o lo conosce solo per lo stereotipo dell'ubriacone depravato quale non era. Con la speranza che possa ricredersi leggendo questo ricordo di un episodio della sua terribile infanzia.
Un giorno me ne stavo lì senza far niente come al solito, ad aspettare chissà che. Non ero particolarmente in buona con la banda, ma ormai non me ne importava più niente. Poi arrivò Gene, di corsa.
<<Ehi, Henry, vieni a vedere!>>
<<Cosa c’è?>>
<<VIENI!>>
Gene si mise a correre e io gli andai dietro. Corremmo su per il viale dei Gibson, fino al cortile sul retro. C’era un grosso muro di mattoni tutt’intorno al cortile dei Gibson.
<<GUARDA! HA MESSO IL GATTO CON LE SPALLE AL MURO! ADESSO LO AMMAZZA!>>
C’era un gattino bianco in un angolo del muro. Non poteva arrampicarsi, e non poteva andare da una parte né dall’altra. Inarcava la schiena e soffiava, con gli artigli pronti. Ma era molto piccolo, e il bulldog di Chuck, Barney, ringhiava e si faceva sotto, minaccioso. Ebbi la sensazione che fosssero stati i ragazzi a metter là il gatto e poi ad andare a prendere il cane. Ne ero quasi sicuro, per via dell’espressione con cui Chuck, Eddie e Gene guardavano il gatto: un’espressione colpevole.
<<Siete stati voi>>, dissi.
<<No>>, disse Chuck, <<è colpa del gatto. E’ stato lui a venir qui. Che si arrangi, adesso.>>
<<Siete dei bastardi, vi odio.>>, dissi.
<<Barney lo ammazzerà, quel gatto.>>, disse Gene.
<<Barney lo farà a pezzi.>>, disse Eddie. <<<Ha paura degli artigli, ma quando si deciderà lo farà fuori in un minuto.>>
Barney era un grosso bulldog marrone con la bava che colava giù dalle mascelle. Era stupido e grasso e aveva due insulsi occhi scuri. Ringhiava senza interruzione e avanzava a poco a poco, con i peli ritti sul collo e sulla schiena. Avevo voglia di dargli un calcio in quel suo stupido culo, ma avevo paura che mi sbranasse la gamba. Pensava solo a uccidere. Il gattino bianco non era nemmeno cresciuto del tutto. Soffiava e aspettava, schiacciato contro il muro, una bella creatura, così pulita.
Il cane avanzava piano. Perché avevano bisogno di quello spettacolo? Non era questione di coraggio, era solo una cosa sporca. Dov’erano gli adulti? Dov’erano le autorità? Erano sempre pronti ad accusarmi di qualcosa. E adesso dov’erano?
Pensai di fare un balzo in avanti, afferrare il gatto e scappar via di corsa, ma non ne avevo il coraggio. Avevo paura che il bulldog mi attaccasse. La consapevolezza di non avere il coraggio di fare quello che avrei dovuto mi faceva star male. Mi venne la nausea. Ero debole. Non volevo che quel gatto morisse, eppure non riuscivo a trovare il modo di salvarlo.
<<Chuck>>, dissi, <<lascia andare il gatto, ti prego. Richiama il cane.>>
Chuck non rispose. Aveva gli occhi fissi sullo spettacolo.
Poi disse.: <<Barney, prendilo! Avanti, prendi quel gatto!>>
Barney si mosse in avanti, e all’improvviso il gatto fece un balzo. Era un ammasso furibondo e indistinto di pelo bianco e soffi, artigli e denti. Barney indietreggiò e il gatto si ritirò di nuovo contro il muro.
<<Prendilo, Barney.>> disse ancora Chuck.
<<Sta’ zitto, maledizione!>>, dissi io.
<<Non usare quel tono con me.>>, disse Chuck.
Barney ricominciò ad avanzare.
<<Siete stati voi a combinare tutto.>>, dissi.
Sentii un rumore leggero alle nostre spalle e mi voltai. Dietro la finestra della camera da letto c’era il vecchio Mr. Gibson che ci guardava. Anche lui, proprio come i ragazzi, voleva veder morto quel gatto. Perché?
Il vecchio Mr. Gibson era il nostro postino con la dentiera. Aveva una moglie che stava sempre in casa. Usciva solo per vuotare la pattumiera. Mrs. Gibson portava sempre una retina sui capelli ed era sempre in camicia da notte, vestaglia e pantofole.
Poi, mentre guardavo, Mrs. Gibson, vestita come sempre, andò a mettersi vicino al marito per guardare lo spettacolo. Il vecchio Mr. Gibson era uno dei pochi uomini del quartiere ad avere un lavoro, ma nonostante questo aveva bisogno di veder morto quel gatto. Gibson era proprio come Chuck, Eddie e Gene.
Ce n’erano troppi come loro.
Il bulldog si fece sotto. Non potevo stare a guardare. Provai una gran vergogna ad abbandonare il gatto a quel modo. C’era sempre la possibilità che cercasse di scappare, ma sapevo che gliel’avrebbero impedito. Quel gatto non stava affrontando solo il bulldog, stava affrontando l’Umanità.
Mi voltai e mi allontanai, via da quel giardino, su per il viale e giù per il marciapiede. Camminai lungo il marciapiede verso il posto in cui vivevo, e lì, nel giardino davanti alla sua casa, c’era mio padre che mi aspettava.
<<Dove sei stato?>>, mi chiese.
Non risposi.
<<Va’ dentro.>>, disse lui, <<e smettila di fare quella faccia, altrimenti te lo do io, un buon motivo per fare quella faccia!>>.
Da Panino al prosciutto
Great Poet
22-November-2011, 21:38
A me invece non è mai interessato "convincere" qualcuno su questo o quello scrittore.
Ancor meno parlando di Bukowski. Conoscendo tutta la sua opera (enorme) ho più di un valido motivo per sostenere il fatto di averlo reso il mio assoluto e principale "dio" letterario.
E ne ho sempre trattato per pura passione e amore letterari, appunto.
Così, non scelgo alcun brano per alcuna preordinata finalità pubblicitaria.
Ma solo perchè, rileggendo il bellissimo diario "Il capitano è fuori a pranzo", trovo ad ogni pagina cose che mi piacciono. Ed essendo questo uno spazio a lui dedicato, lo propongo in lettura per coloro a cui può interessare.
(Dal diario - 12.09.1991)
Oggi niente cavalli. Mi sento stranamente normale. Capisco perché Hemingway aveva bisogno delle corride, gli fornivano una cornice, gli ricordavano dov'era e cos'era. Talvolta ce ne dimentichiamo, a furia di pagare bollette del gas, far cambiare l'olio e via dicendo. La maggior parte della gente non è preparata alla morte, alla propria o a quella di chicchessia. Ne sono scioccati, terrorizzati. E' come una grossa sorpresa. Che diavolo, non dovrebbe esserlo. Io mi porto la morte nel taschino. A volte la tiro fuori e le parlo: "Ciao bella come va ? Quand'è che vieni a prendermi? Sono pronto".
Nella morte non c'è niente di triste, non più di quanto ce ne sia nello sbocciare di un fiore. La cosa terribile non è la morte, ma le vite che la gente vive o non vive fino alla morte. Non fanno onore alla propria vita, la pisciano via. La cagano fuori. Muti idioti. Troppo presi a scopare, film, soldi, famiglia, scopare. Hanno la testa piena di ovatta. Mandano giù Dio senza pensare, mandano giù la patria senza pensare. Dopo un po' dimenticano anche come si fa a pensare, lasciano che siano gli altri a pensare per loro. Hanno il cervello imbottito di ovatta. Sono brutti, parlano male, camminano male. Gli suoni la grande musica dei secoli ma loro non sentono. Per molti la morte è una formalità. C'è rimasto ben poco che possa morire.
Vedete che i cavalli mi servono, altrimenti perdo il senso dell' umorismo. Se c'è una cosa che la morte non può soffrire è che si rida di lei. Una buona risata può fregare qualsiasi handicap. Non rido da tre o quattro settimane. Qualcosa mi sta divorando vivo. Mi gratto, mi giro, mi guardo attorno, cerco di trovarlo. Il Cacciatore è furbo. Uno che non si fa vedere. O forse Una.
.............
Quelli là pensano che per avere un'anima devi essere per forza in croce e sanguinare. Ti vogliono mezzo matto, che ti sbavi sul davanti della camicia. Ne ho avuto abbastanza di croci, ne ho le tasche piene. Se riesco a tenermi alla larga dalla croce, ho ancora parecchie cose da dire. Troppe. Che ci vadano loro sulla croce, gli farò le mie congratulazioni. Ma per scriver non basta il dolore, ci vuole uno scrittore.
Tregenda
23-November-2011, 12:37
Eh, ma che cattiveria... Io non voglio convincere proprio nessuno. Se avessi una così bassa considerazione di chi mi legge non sarei neanche qua.
Ma non ho bisogno di argomentare oltre, perchè chiunque non abbia letto con malignità quello che ho scritto non può avermi frainteso.
Saluti
Great Poet
23-November-2011, 13:21
Mah... non volevo certo essere cattivo né mi pare di esserlo stato. Offrivo le mie considerazioni anche in parte confutando il tuo intervento,la cui premessa non mi era piaciuta né la condivido. Posso almeno questo? Bukowski È STATO anche un ubriacone, con annessi vizi e complessa personalità. Ma perché preoccuparti di dargli un'immagine? Sappiamo entrambi molto bene che è stato un grande scrittore, un grande poeta. Non penso che il tuo commento al brano da te scelto sia stato felice, tutto qui. Posso dirlo o sono cattivo e maligno? Pensi davvero serva a donargli un lustro di maggiore sensibilità? Non credo proprio. Anzi, spero proprio di no.... saluti a te.
Tregenda
23-November-2011, 21:28
Certo che puoi Corrado, ci mancherebbe. Ma io invece posso dire che ho notato una certa cattiveria non in quello che hai scritto, ma nel modo in cui l'hai scritto? D'accordo, sbaglierò, ma credo di potere anche questo.
Ad ogni modo faccio una precisazione sulla mia introduzione al post incriminato, così intanto che ti rispondo non esco nemmeno dall'argomento di discussione: Charles Bukowski.
Innanzitutto ho riportato quel brano perchè mi piace tantissimo. Se così non fosse, a distanza di anni e di decine di libri non lo ricorderei ancora. Non ce l'avevo appuntato da qualche parte, mi ricordavo esattamente a che punto del romanzo fosse. Sono andata a recuperare il volume dallo scaffale, ho soffiato via la polvere e l'ho trascritto. E sì, scusami Corrado, ma credo sia uno dei brani che danno lustro a Buk, insieme ad infiniti altri, che magari non sono quelli che preferisci tu.
Ma arrivo al dunque: tante, davvero tante volte mi sono trovata a parlare con amici, amiche, conoscenti, etc. che mi hanno chiesto di spiegare loro cosa mai ci trovassi in un ubriacone volgare che scrive solo di piscia, merda, vomito, alcool e sesso. Inizialmente mi innervosisco sempre, ma poi quando chiedo loro cos'hanno letto di Bukowski mi metto nei loro panni.
Forse se io, dal nulla, avessi cominciato a conoscerlo leggendo "Sei pollici" o quell'altro racconto di cui adesso non ricordo il titolo dove c'è uno che violenta una bambina, mi sarei fatta tutt'altra impressione iniziale di lui. Non mi sarei scandalizzata, ma l'avrei trovato un po' riduttivo come genere.
Bukowski scrive di schifezze, Bukowski è senza dubbio un ubriacone. Ma quello che volevo dire in quel post è che Bukowski non è SOLO questo. La mia era una risposta ideale a tutti quelli che potrebbero chiedermi come si fa ad apprezzare uno che scrive solo di vomiti.
Mi sarò espressa male, non so, ma quello che intendevo dire è che Bukowski è ANCHE un ubriacone. Ma fare dell'alcolismo il caposaldo della sua identità mi sembra davvero ingiusto.
Di alcolisti è pieno il mondo, ma questo non fa di loro Bukowski.
Con ciò non volevo togliere nulla al suo stile, tu dovresti sapere che lo adoro e che se ne avesse un altro forse non lo adorerei.
L'episodio del gatto era solo un esempio, era per dire: forse vi hanno detto che Bukowski è uno scrittore di deliri alcolici, ed è vero. Ma c'è molto di più oltre a questo, non c'è insensatezza nei suoi deliri.
Poi, ma questa è solo una mia opinione, Buk ha saputo scrivere anche cose pessime. Tipo alcune cose che ho letto in "Azzeccare i cavalli vincenti". Dico "alcune" perchè non le ho lette tutte, non sono stata capace di finirlo, dopo un po' mi è venuta voglia di buttarlo dalla finestra. Lo stesso mi era successo con "Taccuino di un vecchio sporcaccione", anche se quello l'ho letto per intero. Ma questo non scalfisce di una virgola il mio amore per lui.
Perciò non volevo fare la melensa presentazione del lato tenero di Bukowski, anche perchè non ce n'è bisogno, è così evidente anche quando parla di cazzi.
Invece però ricordo che qualcuno qui presente, nell'altro forum ad un certo punto aveva proposto una rassegna delle poesie "romantiche" di Buk, specificando che voleva pubblicizzare il suo lato più romantico, appunto, dopo tanto citare quello più ruvido.
Do you remember? Allora l'hai fatto perchè credevi servisse a donargli un lustro di maggiore sensibilità? Hai fatto bene, tant'è che ne avevo postate anch'io di poesie.
Io qui ritengo di aver fatto dire a Buk quello che aveva detto in quella lettera con cui ha risposto alla tizia che lo accusava di scrivere solo poesie sulle sue emorroidi, mentre invece lei pensava che ci fosse molto altro su cui scrivere.
Lui ha risposto: lo penso anch'io, infatti è quello che faccio.
Great Poet
24-November-2011, 01:16
Ri-mah... direi di chiuderla qui.
Se in passato ho postato poesie "ANCHE" romantiche (non lo metto in dubbio, anche se - con tutto il parlare che ho fatto di lui - non ricordo) l'ho fatto per dare ogni possibile visione - appunto - del suo scrivere.
Senza voler indurre, ne sono certo, qualcuno a doversi "ricredere" di un'immagine che magari si era precostituita.
Di ciò, non me me può fregare di meno.
byebye
Great Poet
24-November-2011, 01:36
Diario - 16.03.1992
Non saprei da dove nasce. Però sta lì: una certa passione per gli scrittori del passato. E le mie passioni non sono nemmeno precise,sono solo mie, quasi interamente inventate. Penso a Sherwood Anderson, per esempio, come a un ometto, le spalle leggermente curve. Probabilmente era alto e diritto. Non importa. Io lo vedo a modo mio. (Non ho mai visto una sua foto.) Dostoevskij me lo vedocome un tipo con la barba, piuttosto appesantito e occhi fiammeggianti color verde scuro. Prima era troppo grasso, poi troppo magro, poi troppo grasso. Sciocchezze, certo, ma le mie sciocchezze mi piacciono. Dostoevskij lo vedo persino come uno che sbavava perle ragazzine. Faulkner, lo vedo un po' in penombra come un uomo eccentrico e dall'alito pesante. Gor'kij, lo vedo come uno spione ubriacone. Tolstoj come uno che andava su tutte le furie per un nonnulla. Vedo Hemingway come uno che si esercitava nella danza classica dietro una porta chiusa. Vedo Celine come uno che aveva problemi di insonnia. Vedo e. e. cummings come un grande giocatore di biliardo. Potrei andare avanti all'infinito.Queste visioni mi venivano soprattutto quando ero uno scrittore morto di fame, mezzo matto e incapace di stare in società. Avevo pocoo niente da mangiare ma molto tempo a disposizione. Chiunque fossero, per me gli scrittori erano una magia. Aprivano le porte in modo diverso. Al risveglio avevano bisogno di bere qualcosa di forte.La vita era maledettamente troppo per loro. Ogni giorno era come camminare su cemento fresco. Ne facevo i miei eroi. Me ne nutrivo. L'idea che ne avevo mi sosteneva nel mio nulla. Pensare a loro era molto meglio che leggerli. Come D.H. Lawrence. Che tipetto perverso. Il suo sapere era tale che era sempre scocciato. Adorabile,adorabile. E Aldous Huxley... pura forza cerebrale. Il suo sapere era tale che gli faceva venire il mal di testa.Mi stendevo sul mio letto da affamato e pensavo a quegli uomini.La letteratura era così... Romantica. Sì.Ma andavano bene anche i musicisti e i pittori, sempre sul punto di impazzire, suicidi, che facevano cose strane e spiacevoli. Il suicidio sembrava proprio una buona idea. Io stesso ci provai qualche volta,senza riuscirci ma arrivandoci vicino, feci qualche buon tentativo. Ed eccomi qua a quasi set-tantadue anni. I miei eroi sono scomparsi da un pezzo e ora mi tocca vivere con gli altri. Alcuni dei nuovi creatori,alcuni dei neofamosi. Per me non è lo stesso. Li guardo, li ascolto e penso: tutto qua? Voglio dire, hanno l'aria tranquilla... protestano... ma hanno l'aria TRANQUILLANon c'è sregolatezza. Gli unici a sembrare sregolati sono quelli che come artisti sono dei falliti e sono convinti che il fallimento sia colpa di forze esterne. E creano cose brutte,orribili.Non ho più nessuno su cui concentrarmi. Non riesco a con-centrarmi nemmeno su me stesso. Una volta entravo e uscivo di galera, buttavo giù porte, fracassavo finestre, bevevo venti-nove giorni su trenta. Ora me ne sto seduto davanti a questo computer con la radio accesa, ad ascoltare musica classica. Stasera non sto nemmeno bevendo. Anch'io mi sono dato una regolata. Per che cosa? Voglio arrivare a ottanta, novant'anni? Non mi importa di morire... ma non quest'anno, okay?Non so, solo che allora era diverso. Gli scrittori sembravano più...scrittori. Si facevano cose. La Black Sun Press. I Crosby. E mi venga un colpo se una volta non tornai a quei tempi. Caresse Crosby pubblicò uno dei miei racconti sulla sua rivista “Portfolio” insieme a Sartre, credo, Henry Miller e, credo, forse, Camus. La rivista non ce l'ho più. Qualcuno me l'ha rubata. Bevono con me e poi si portano viale mie cose. Ecco perché me ne sto sempre più da solo. Ma chissà, a qualcun altro mancheranno i ruggenti anni Venti, Gertrude Stein ePicasso, James Joyce, Lawrence e compagnia bella.Mi sembra che non si viva più come una volta. È come se tutte lescelte fossero finite, come se non potessimo più scegliere. Mi siedo qui, accendo una sigaretta, ascolto la musica. La salute èbuona e spero di scrivere come sempre o anche meglio. Ma tuttoquello che leggo sembra così... artefatto... come uno stile studiato diligentemente. Forse ho letto troppo, forse leggo da troppo tempo. Eppure, dopo decenni e decenni passati a scrivere (e ho scritto una carrettata di roba), quando leggo un altro autore sono convinto di poterdire esattamente quando sta bluffando, la menzogna salta fuori, la pa-tina di vernice si scrosta... posso indovinare la frase successiva, il paragrafo successivo... Nessun lampo, nessuno slancio, nessun rischio. È un lavoro che hanno imparato a fare, come aggiustare un rubinetto che perde.Era meglio quando potevo ancora immaginare una grandezza negli altri, anche se magari non sempre c'era.
Giovanni Monte
03-December-2011, 15:30
andavamo
al funerale di un grand'uomo
ma
di gente ce n'era poca: la
sua famiglia, una coppia di vecchi amici sceneggiatori,
altri due o tre. noi
abbiamo detto qualcosa ai familiari e alla moglie
del morto,
poi siamo entrati ed è cominciata la messa e il
prete non era granché ma uno dei figli del grand'uomo
ha fatto un bel discorso, e poi è finita
e ci siamo trovati di nuovo fuori, in macchina,
di nuovo dietro al carro funebre, giù per la ripida
strada
oltrepassando di nuovo il camion delle fragole e la mia
donna ha detto: "non fermiamoci a prendere
le fragole,
e proseguendo verso il cimitero pensavo:
Fante, sei stato uno degli scrittori migliori
di tutti i tempi
e che triste giorno oggi.
C. Bukowski - da "Santo cielo, perché porti la cravatta?" -- (una domanda che mi faccio sempre ai matrimoni...)
Tregenda
03-December-2011, 21:20
E quale altra poesia avrebbe mai potuto postare Giovanni Monte? ;)
Indigowitch
10-February-2012, 12:38
Ho conosciuto Bukowski tramite alcune sue poesie, ed è subito scattato un forte interesse.
Di solito me lo dipingevano come uno che sapeva parlare solo di alcool, sesso e cerume alle orecchie, invece
in quei componimenti traspariva una carica di disperazione esistenziale così sincera e cruda che mi sono detta: "Ecco, questo mi mancava."
L'ultimo libro che ho letto è stato proprio uno di Bukowski, Pulp.
Lì in effetti ho riscontrato quel po' di cinismo e quella crudezza di cui mi parlavano, ma non mi hanno turbata particolarmente.
E' una storia visionaria, dove l'ironia e le situazioni assurde si alternano a squarci di riflessione per nulla banali.
Un attimo prima ridi di gusto per una frase sboccata, un attimo dopo il sorriso ti muore sulle labbra leggendo un pensiero così
amaro e sincero, uno di quelli che almeno una volta nella vita hai fatto anche tu.
Non voglio perdermi in chiacchiere, perciò trascrivo semplicemente un brano che mi ha colpito:
"Era solo un lavoro, l'affitto, la sbobba, aspettare l'ultimo giorno o l'ultima notte. Sempre ad aspettare. Che stronzata.
Avrei dovuto diventare un grande filosofo, avrei detto a tutti quanto eravamo sciocchi, a stare in giro a fare andare l'aria dentro
e fuori dai polmoni.
Accidenti, stavo diventando malinconico."
Tregenda
10-February-2012, 21:04
Impeccabile, Indigowitch. Quello che hai scritto è una boccata d'ossigeno per i miei bukowskiani polmoni. Grazie. ;)
Tregenda
26-February-2012, 18:43
Non ero mai stato elegante. Le mie camicie erano tutte stinte e strette, vecchie di 5 o 6 anni, consunte. Lo stesso per i pantaloni. Odiavo i grandi magazzini, odiavo i commessi, avevano una tale aria di superiorità, sembrava che conoscessero il segreto della vita, avevano una fiducia in se stessi che io non possedevo. Portavo sempre scarpe vecchie e scalcagnate, non mi piacevano nemmeno i negozi di scarpe. Non comperavo mai niente fino a quando proprio non potevo farne a meno, comprese le automobili. Non era questione di taccagneria, solo non riuscivo a sopportare di essere un compratore che aveva bisogno di un venditore, quando i venditori erano così belli e distaccati e superiori. E poi ci voleva un sacco di tempo, tempo che si poteva tranquillamente passare sdraiati a bere da qualche parte.
Da Donne
Indigowitch
09-June-2012, 16:02
Le sorelle l'accusavano di sprecare la sua bellezza, di non fare buon uso del cervello. Ma Cass ne aveva da vendere, di cervello e di spirito.
Dipingeva, danzava, cantava, modellava la creta, e quando qualcuno era ferito, mortificato, nel corpo o nell'anima, Cass provava compassione per costui.
Il suo cervello era, ecco, differente; la sua mentalità non era pratica, ecco quanto. Le sorelle eran gelose perché essa attraeva i loro uomini; ce l'avevano su con Cass perché, secondo loro, sciupava un sacco d'occasioni.
Di solito Cass era gentile con quelli piú brutti; i cosiddetti fusti non le dicevano niente. Le facevano schifo.
"Senza nerbo," diceva, "senza grinta. Arrivano, alti in sella, con quei nasi ben fatti, quelle orecchie ben disegnate... Tutta esteriorità, e niente dentro."
La sua indole era affine alla pazzia; aveva un temperamento che certi chiamano pazzia.
Dal racconto La donna più bella della città
Tregenda
16-August-2012, 01:08
Uno come lui non basta la morte a portarcelo via. Buon compleanno, Buk.
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