Tregenda
11-November-2011, 19:01
Il mio primo incontro con Saramago non è stato un incontro fatale, non è stato un fulmine a ciel sereno come quello con Bukowski. Con Bukowski è stato un incendio. Fuoco al primo sguardo, e da allora è un’inesauribile tempesta solare.
Saramago ho cominciato ad amarlo teneramente un po’ alla volta.
L’ho incontrato per caso. Più o meno un anno fa ero al supermercato, c’era uno scatolone di libri in offerta, ero in vena di nuove esperienze, così ho comprato Cecità, per la curiosità di leggere un autore che fino a quel momento avevo solo sentito nominare.
Su Ibs la stragrande maggioranza dei commenti lo definiva il suo capolavoro, ma confesso che inizialmente ho pensato: se questo è il suo capolavoro, non oso immaginare le altre cose che ha scritto.
Ci ho messo un po’ a superare lo sgomento per quel suo modo di scrivere i dialoghi senza punteggiatura, lo trovavo un fastidioso vezzo intellettualoide. Io che sono così sintatticamente pignola poi!
Avevo addirittura pensato di mollarlo dopo qualche pagina, ma per fortuna non l’ho fatto!
Saramago è così: ti narcotizza un po’ per pagine e pagine in cui se la dice, se la commenta, prende in giro i suoi personaggi, piomba all’improvviso nel bel mezzo della storia, confonde i piani narrativi, personifica concetti astratti, li fa sedere in macchina di fianco ai personaggi e dialogare con loro, tergiversa, si impantana, perde il filo del discorso… Insomma, cazzeggia.
Poi all’improvviso, quando meno te lo aspetti, ti folgora con un gioiello di una bellezza che acceca, un brano celestiale.
E l’incantesimo è compiuto.
Mi ricorda tanto i pezzi più vecchi dei Pink Floyd, quelli che preferisco. Come Echoes, o A saucerful of secrets. Dopo 10 minuti di tortura acustica parte una musica che sembra scesa direttamente dal paradiso, o dalle profondità dello spazio siderale.
Ad ogni modo Saramago mi ha definitivamente conquistata con il Saggio sulla lucidità, illuminante riflessione sulla contemporaneità che, a dispetto del titolo, è un romanzo. Dal finale sconcertante com’è nel suo stile. Mi ci sono voluti due giorni durante i quali non sono riuscita ad iniziare nessun nuovo libro, per elaborare lo shock di quel finale.
Sconvolgente e tremendo L’uomo duplicato, sempre con un finale a supersorpresa.
E poi, splendido, La caverna, appena terminato. Il mito platonico della caverna come attualissimo monito: cosa siamo diventati? Cosa stiamo combinando? Se vogliamo siamo ancora in tempo a sciogliere le catene e uscire dalla caverna.
E la poesia infinita della seconda parte di Le intermittenze della morte, quasi un piccolo racconto a sé stante che si può leggere anche da solo. Una vera perla, sul serio.
Per farla breve, ho comprato tutta la sua bibliografia, e siccome è piuttosto consistente, ci sto ancora lavorando.
E ora amo anche quelli che in un primo momento consideravo dei difetti. Adoro il suo tergiversare, mi ci crogiolo beatamente pregustando il momento della folgorazione.
Peccato che se ne sia andato. Ho guardato su YouTube la sua intervista alla trasmissione della Dandini e quasi non potevo credere ai miei occhi. Quel tenero vecchierello che non smetteva più di parlare, che si commuoveva ripensando a suo nonno, e che avrei potuto tranquillamente incontrare nella sala d’aspetto del dottore senza distinguerlo dagli altri, era lo stesso che aveva scritto le pagine che stavo leggendo. Pagine eccezionalmente lucide, giovani, brillanti, piene di ironia e intelligenza.
Quel fragile vecchietto era in realtà un Titano, al cui cospetto la morte sarà sicuramente arrossita di vergogna, quando è venuta a prenderlo.
Saramago ho cominciato ad amarlo teneramente un po’ alla volta.
L’ho incontrato per caso. Più o meno un anno fa ero al supermercato, c’era uno scatolone di libri in offerta, ero in vena di nuove esperienze, così ho comprato Cecità, per la curiosità di leggere un autore che fino a quel momento avevo solo sentito nominare.
Su Ibs la stragrande maggioranza dei commenti lo definiva il suo capolavoro, ma confesso che inizialmente ho pensato: se questo è il suo capolavoro, non oso immaginare le altre cose che ha scritto.
Ci ho messo un po’ a superare lo sgomento per quel suo modo di scrivere i dialoghi senza punteggiatura, lo trovavo un fastidioso vezzo intellettualoide. Io che sono così sintatticamente pignola poi!
Avevo addirittura pensato di mollarlo dopo qualche pagina, ma per fortuna non l’ho fatto!
Saramago è così: ti narcotizza un po’ per pagine e pagine in cui se la dice, se la commenta, prende in giro i suoi personaggi, piomba all’improvviso nel bel mezzo della storia, confonde i piani narrativi, personifica concetti astratti, li fa sedere in macchina di fianco ai personaggi e dialogare con loro, tergiversa, si impantana, perde il filo del discorso… Insomma, cazzeggia.
Poi all’improvviso, quando meno te lo aspetti, ti folgora con un gioiello di una bellezza che acceca, un brano celestiale.
E l’incantesimo è compiuto.
Mi ricorda tanto i pezzi più vecchi dei Pink Floyd, quelli che preferisco. Come Echoes, o A saucerful of secrets. Dopo 10 minuti di tortura acustica parte una musica che sembra scesa direttamente dal paradiso, o dalle profondità dello spazio siderale.
Ad ogni modo Saramago mi ha definitivamente conquistata con il Saggio sulla lucidità, illuminante riflessione sulla contemporaneità che, a dispetto del titolo, è un romanzo. Dal finale sconcertante com’è nel suo stile. Mi ci sono voluti due giorni durante i quali non sono riuscita ad iniziare nessun nuovo libro, per elaborare lo shock di quel finale.
Sconvolgente e tremendo L’uomo duplicato, sempre con un finale a supersorpresa.
E poi, splendido, La caverna, appena terminato. Il mito platonico della caverna come attualissimo monito: cosa siamo diventati? Cosa stiamo combinando? Se vogliamo siamo ancora in tempo a sciogliere le catene e uscire dalla caverna.
E la poesia infinita della seconda parte di Le intermittenze della morte, quasi un piccolo racconto a sé stante che si può leggere anche da solo. Una vera perla, sul serio.
Per farla breve, ho comprato tutta la sua bibliografia, e siccome è piuttosto consistente, ci sto ancora lavorando.
E ora amo anche quelli che in un primo momento consideravo dei difetti. Adoro il suo tergiversare, mi ci crogiolo beatamente pregustando il momento della folgorazione.
Peccato che se ne sia andato. Ho guardato su YouTube la sua intervista alla trasmissione della Dandini e quasi non potevo credere ai miei occhi. Quel tenero vecchierello che non smetteva più di parlare, che si commuoveva ripensando a suo nonno, e che avrei potuto tranquillamente incontrare nella sala d’aspetto del dottore senza distinguerlo dagli altri, era lo stesso che aveva scritto le pagine che stavo leggendo. Pagine eccezionalmente lucide, giovani, brillanti, piene di ironia e intelligenza.
Quel fragile vecchietto era in realtà un Titano, al cui cospetto la morte sarà sicuramente arrossita di vergogna, quando è venuta a prenderlo.